Quel perentorio "no, tu vai a dormire, ne hai bisogno, devi dormire!" mi colse di sorpresa, non me lo aspettavo
"No vado a ballare, non ho sonno e comunque non riuscirei a dormire" ebbi la forza di replicare… Il tira e molla stava durando da qualche minuto e nessuno dei due aveva intenzione di cedere.
"Va bene, tu vai a ballare, ma io da qui non mi muovo..." La partita a scacchi si stava mettendo male, il re cominciava a perdere pedoni in difesa, questa mossa decisamente non me l'aspettavo e quindi tentai un disperato "...va bene, ma cosa ci fai qui da sola?". Tecnicamente a scacchi questa mossa è accompagnata dal ghigno di chi crede di avere azzeccato la mossa vincente e che poi svanisce quando arriva lo scacco matto: "semplice, io dormo qui."
Non aveva ancora finito di parlare che, dopo essere andata in bagno, tornava e incominciava far a svolazzare su una sedia tutto quello che di superfluo c'era rispetto al necessario per dormire, cioè gonna, camicetta, maglia e calze, ed io, che non mi ero ancora ripreso, guardavo attonito con le chiavi di casa in mano. Perfido il suo finale "che fai, vai a ballare o vieni a letto?" (da notare che l'abitazione era uno spazioso monolocale dove il letto distava meno di due metri dal tavolo).
Il re rotolava sulla scacchiera in segno di resa.
Il sonno arrivò dopo massimo due secondi dall'essermi coricato con la schiena rivolta a te che mi abbracciavi trasmettendomi un amore totalmente inaspettato, un affetto che sicuramente andava al di là di quanto avessi mai potuto desiderare da te.
Ho solo un ricordo di quella notte; ad un certo punto mi ero svegliato e girandomi mi ero allontanato da te che dormivi. Sentii la tua mano scivolare sulla mia spalla che prendendomi mi tirava verso di te in un nuovo caldo abbraccio. Ed in quelle poche ore di sonno, la mia disperazione svaniva, l'ossessione del suo (l’altra) ricordo scompariva, per lasciare solo posto alla tua presenza così tranquillizzante ed amorosa, tanto che alla sveglia mattutina lei, l'altra, era solo uno sbiadito ricordo ed io mi chiedevo perché mai stessi soffrendo per così poco. Ci svegliammo di buon ora, era sabato (ecco svelato il perchè del venerdì), giorno di mercato nella piazza vicino a casa, e così ci vestimmo e scendemmo per strada; dopo avere fatto colazione girammo insieme per le bancarelle, mano nella mano, fino all'abbraccio finale che sanciva il ritorno alla nostra vista quotidiana e normale. Cosa avrei potuto volere di più da te? Nulla, perchè mi avevi già dato tutto quello che c'era da dare.
Marzo 1993
Una notte speciale
Questa candela illuminerà i pensieri di questa notte, ed anche quando si sarà spenta il buio non sarà così fondo da non poterti vedere in tutto il tuo magico splendore (fondo tinta):
semplicemente chiuderò gli occhi e lascerò che sia il cuore a rivederti ed a ricordarti così come eri mentre abbiamo cenato e parlato, di cose tristi e di cose allegre, di cose anche un po' strane e balzane.
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Era tutto incominciato qualche sera prima, un venerdì, questo lo ricordo ma non svelo subito perchè. Ero arrivato a casa verso le sette di sera, e come mi capitava già da una decina di giorni, totalmente distrutto ma non dal lavoro, bensì dal pensare continuamente a lei (l’altra), al suo corpo, alle sue labbra, a quelle due settimane indimenticabili ma ormai definitivamente finite dopo una telefonata in cui senza troppi giri di parole mi aveva semplicemente detto che guardandosi allo specchio aveva realizzato di non potere più continuare e che non mi voleva più incontrare.
La confusione regnava sovrana nella mia testa, le notti passavano insonni e pure in ufficio la mia collaboratrice di segreteria (non mi piace dire segretaria) si stava preoccupando del mio stato confusionale, direi mentale.
E così ti avevo invitato a cena per quella sera (l’amica); tornato alle sette mi ero stravaccato sul letto e con gli occhi sbarrati avevo semplicemente atteso che suonassi il citofono, così da trovare la forza di alzarmi per aprirti la porta. Ricordo il tuo viso così sereno, ti eri guardata in giro, avevi notato la confusione, i fornelli spenti, la tavola apparecchiata dalla sera prima, quanto di meglio cioè si potesse aspettare una donna per un invito a cena...
Ma tu sapevi, tu capivi, e non ti sei scomposta, mi hai aiutato a ritornare cosciente così da poter riordinare un po’ la casa, cuocere degli spaghetti arrangiati e non ricordo cos'altro (forse non c'era veramente nient'altro).
Svogliatamente mangiai, ed intanto ti raccontavo piagnucolando delle mie presunte disgrazie amorose, col tuo sorriso a volte un po' corrucciato ma sempre un po' scanzonato che non ti abbandonava mai il viso. E parlando, parlando, era arrivata mezzanotte: io mi sentivo sempre più friggere perchè immaginavo già la notte insonne ed incassai il tuo "adesso fumo l'ultima sigaretta e poi vado" con grande nonchalance replicando "non ti preoccupare, appena vai via vado a ballare (era il periodo del grande trip del latino americano).