Emozioni oltre - Michele Pittoni

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Tu non parli, ma sento che sei lì, sei una presenza piacevole, rassicurante, come era stato poco prima il tuo sorriso, non riesco a dormire, a chiudere gli occhi ne' a provare a sonnecchiare, ma non mi disturbi, mi stai tenendo compagnia con i tuoi pensieri (ma quali pensieri?) ...  Il desiderio di parlare è reciproco, sono circa le 11 e mezzo ed improvvisamente chiudi il libro e giri la testa verso di me, non ci eravamo ancora neppure presentati … (che idea balzana, da quando in qua ci si presenta alla vicina in un pullman???). Sono io che per primo chiedo dove stai andando, da dove vieni lo so già perchè sei partita da Torino. E così incominci a raccontarmi qualcosa delle tue origini pugliesi, che la tua famiglia di origine vive ancora lì, di come ti sia trasferita con tuo marito al nord. I tuoi occhi sono profondi, mentre parli non distogli mai lo sguardo, i tuoi occhi parlano assieme a te... Anche io racconto le mie vicende, di come la vita mi abbia portato a trasferirmi a Matera, città dove ho incontrato la mia compagna che mi ha dato due meravigliosi figli... tu ascolti e mentre ascolti i tuoi occhi continuano a parlare; adesso però trasmettono una grande tristezza, un dolore ancora vivo, per la prima volta abbassi lo sguardo, sei ad un passo dal chiudere ogni comunicazione. Ma poi pacatamente rialzi la testa, mi guardi negli occhi ed incominci a raccontare di tuo figlio, che non c'è più, della sua malattia che, giovanissimo, l'ha spento inesorabilmente; non so per quanto tempo mi parli, quello che dici non è misurabile in parole o tempo che passa, tu mi stai offrendo i tuoi sentimenti più laceranti, quello che forse non dici a nessuno lo stai dicendo a me... perchè proprio a me... sono completamente in tilt, tu mi stai facendo vivere il tuo dolore ed il dolore non ha tempo ne' limiti, esiste e basta... ma io e te insieme sappiamo fare molto di più, devo solo aspettare qualche minuto per scoprirlo... alla fine ti chiedo se c'è un motivo particolare per cui stai tornando al tuo paese, "è un anniversario ", rispondi, "è l'anniversario del primo anno della morte di mio padre...ci sarà una messa di ricordo" non finisci la frase che nella mia mente vedo una scena nitida e distinta, un trattore che si capovolge e sotto resta un uomo... adesso sono io che non riesco più a parlare, ho lo stomaco aggrovigliato... assurdo penso, non è possibile, chissà cosa mi passa per la testa. Ma quella scena è lì, mi sta togliendo ogni altro pensiero, c'è solo quello, non riesco a non pensarci... Sono attimi di silenzio, poi prendo il discorso alla lontana, non ho il coraggio di dirti ciò che ho visto, mi sento ridicolo, incomincio a chiederti come è morto... "un incidente...", "ah, un incidente stradale?", "no, un incidente sul lavoro..." vedi sto sbagliando, tutte stupidaggini, tutta suggestione... "dove lavorava, in fabbrica?" sono quasi felice che le cose siano andate diversamente da come immaginavo... "no, mio padre era agricoltore, stava lavorando nei suoi campi, mentre arava un campo il trattore che stava conducendo si è rovesciato ed è morto schiacciato...". Se tu avessi usato un randello al posto della tua voce il risultato sarebbe identico, lo stomaco già aggrovigliato a questo punto viene passato pure in una centrifuga, non mi so capacitare, che probabilità ci sono di indovinare un evento simile? Infinitesime direi... e andiamo ancora avanti a parlare, mi sembra di conoscerti da una vita; anche tu mi dici che normalmente non parli con nessuno mentre viaggi, non capisci perche mi stai raccontando tutto questo... quando guardiamo l'orologio sono le tre di notte passate, il rumore del motore del pullman è sempre uguale, uniforme, facciamo un'altra sosta e quando risaliamo cerchiamo di riposare. Tu ti giri verso il finestrino, io verso il corridoio, in quello spazio così angusto e con i sobbalzi sull'asfalto a tratti sconnesso le schiene ogni tanto si sfiorano, i pensieri non si acquetano, le emozioni sembra che avvolgano quel piccolo universo che si è creato per conservarlo intatto: continuiamo, pur senza proferire parola, a parlarci fino all'alba mentre cerchiamo di prendere sonno, difficile per tutti e due, sonno che finalmente arriva. Non ricordo dove tu sia scesa, a Spinazzola o a Minervino... Ci stiamo lasciando con una stretta di mano, non vorrei lasciare la tua mano, un bacio sulla guancia ed un ultimo sguardo, sapendo che quello che abbiamo vissuto questa notte è irripetibile, incredibilmente meraviglioso ed inspiegabile. Io non ti ho detto cosa ho visto mentre tu parlavi, se mai leggerai questa storia allora lo saprai... Ma forse è più probabile che tu lo sappia già ora...
Adesso sono a casa a Matera, sono rincretinito fatto, praticamente non ho chiuso occhio...

ottobre 2000.

Emozioni oltre

Sono arrivato per tempo alla fermata del pullman che tutti i giorni fa la spola tra Milano e Matera. Pochi sanno che in assenza di un decente collegamento ferroviario, dal piazzale Duca d'Aosta, vicino alla Centrale, giornalmente partono due pullman, uno al mattino ed uno alla sera, che fermano nel bel centro di Matera, permettendo, nel mio caso, un comodo e rilassante viaggio notturno; partenza alle 22.00, arrivo alle 8.30 del mattino, a 2 minuti a piedi da dove abito, vicino alla piazza centrale. Il pullman arriva da Torino, per cui qualche minuto di ritardo è normale. Dopo una decina di minuti di attesa eccolo spuntare, riconoscibile dal colore rosso che contraddistingue tutti gli automezzi della linea Marino. E' un pullman a due piani, già pieno di passeggeri, per cui salgo i gradini per raggiungere il secondo piano. E' la seconda volta che viaggio su quei pullman, la società ha smesso di rimborsarmi i viaggi settimanali in aereo a seguito del mio trasferimento da Pisticci a Cesano Maderno già da qualche settimana, e Tina, la mia attuale compagna, con i nostri due figli Marco e Francesca non si sono ancora trasferiti su. Non ricordo esattamente la data degli eventi che sto raccontando, siamo grosso modo ad ottobre del 2000. Salito al piano superiore trovo quel che cerco, due posti affiancati liberi, nella parte sinistra a metà circa del corridoio; scelgo quello vicino al finestrino, mi è sempre piaciuto poter guardare fuori, fin da quando da giovane andavo a Pesaro in treno con la mia famiglia. Con me salgono parecchi altri passeggeri, tutti con biglietto ma senza posto prenotato, per cui ciascuno si può accomodare dove meglio crede. Con borse piene e pacchi arrivano poco dopo due ragazze di poco più di 20 anni, cercano anche loro due posti vicini, ma io ho occupato la loro unica possibilità; si guardano intorno e, notando che dietro di me c'è una ragazza da sola seduta accanto al finestrino, mi fissano e mi chiedono se voglio passare dietro e lasciarle i due posti che così si sarebbero liberati. Ci penso solo per un attimo ma poi rispondo di no, voglio restare vicino al finestrino, e così, rassegnate, si siedono l'una avanti all'altra nei due sedili centrali verso il corridoio. Dopo un po' di trambusto si sente il soffio delle porte che si chiudono, il pullman sta iniziando a muoversi ed io mi sto godendo dal mio finestrino l'uscita da Milano col traffico che ci scorre a fianco; dopo circa una ventina di minuti imbocchiamo l'autostrada del sole e il paesaggio, nel buio, diventa indistinguibile e mi concilia nel tentare un riposo; intanto la ragazza che sta accanto a me è rigirata all'indietro per parlare con la sua amica. Bastano pochi minuti per rendermi conto di come sia stata sbagliata e peregrina la mia idea di stare vicino al finestrino: il mio metro e ottanta di altezza mal si concilia con l'esiguo spazio tra il mio sedile e quello di fronte; non riesco a trovare una posizione che mi vada bene, mi contorco, le sto provando tutte... Dopo circa dieci minuti arriviamo alla stazione di servizio di san Zenone; è la prima sosta, per permettere ai viaggiatori saliti a Torino di sgranchirsi le gambe e all'autista di bersi un caffè; a Milano nessuno poteva scendere. Le due ragazze, anche se appena salite, pure loro si alzano e scendono; per un attimo posso finalmente allungare le gambe, poi mi alzo e mi guardo intorno.Tu (ti chiamerò così d'ora in avanti, ragazza che siedi nella fila dietro vicino al fiestrini), seduta, mi stai osservando, molto probabilmente hai notato le mie contorsioni; hai un sorriso tra l'ironico ed il comprensivo, sorriso che da luce al tuo viso contornato da capelli e occhi scuri; la tua taglia, decisamente più minuta della mia, ti permette di trovarti perfettamente a tuo agio nell'esiguo spazio a disposizione. Per una frazione di secondo ti sorrido anche io e poi assumo un'aria dubitativa; alla fine ti dico che magari, se non ti dispiace, potrei sedere accanto a te per lasciare il posto alle due ragazze appena scese. Dopo la tua risposta affermativa, del tipo "saranno ben contente...", mi sfilo rapidamente dal sedile e mi siedo dietro, col corridoio a mia disposizione per allungare le gambe, che meraviglia... Dopo poco risalgono le due ragazze che esultano nel trovarsi a disposizione i due posti vicini...
E così dopo poco il viaggio continua, si chiudono le porte col solito soffio, le luci del corridoio vengono spente e lasciate accese solo quelle di lettura. Tu, a fianco, stai leggendo, io finalmente sono comodamente piazzato con le gambe lungo il corridio. Notoriamente non sono molto socevole quando viaggio, parlo poco, ed anzi mi disturbano coloro che, mentre tenti di ri posare o di prendere sonno, incominciano a parlare ed a raccontare di tutto, totalmente insensibili ad ogni tentativo di interruzione o di svicolamento...

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