Il castello dell'amore - Michele Pittoni

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Fu così che il castello disordinato incominciò a vivere di una nuova vita ovunque lei passasse e rimettesse ordine, ed il marchese usciva sempre più spesso dalla sua stanza per vedere con lei i miglioramenti apportati, aprendole le porte più segrete dove la confusione era ancora maggiore. Erano tutti e due felici di quanto facevano, non si sa bene come.
Fino al giorno in cui arrivò al castello un messo che comunicò al marchese che il re aveva bisogno dei suoi servigi e doveva raggiungerlo al più tardi il giorno dopo.

'Il re mi chiama e devo andare', disse lui, 'ma tu puoi rimanere nel castello che hai così bene accomodato.'

Lei, udendo ciò, pianse chinando il capo compostamente, ed il marchese, per la prima volta, fu turbato nel vedere quel viso, che fino ad allora era stato sempre allegro e sorridente, che traspariva dolore e sofferenza.
Si presero quindi per mano, con una dolcezza sconosciuta, e camminarono a lungo nel castello senza proferire parola aspettando che arrivasse la notte che poi passarono restando abbracciati, sempre più turbati, davanti al fuoco del camino.
A cosa era servito riordinare un castello intero se poi si fossero dovuti separare? Sorse il sole, e per il marchese era giunto quasi il momento di dover partire: ma egli aveva già deciso che avrebbe fatto di tutto per poterla avere ancora accanto. Quando ecco che arrivò al castello un altro messo, questa volta per la fanciulla, con una missiva speditale dal suo compagno di viaggio, di quella notte durante la quale lei era sopraggiunta al castello, e che credeva di avere perso durante la tormenta, che la pregava di raggiungerlo dopo tanta pena che si era dato per ritrovarla.
Lei piangendo salutò dunque il marchese mormorando solo 'credevo di averlo perso, ma non è così...'.
Invano lui tentò di trattenerla e fu così che, prima lei e poi lui, se ne andarono ciascuno per la propria strada segnata dal destino.

Coloro che passarono qualche tempo dopo dal castello non trovarono più nessuno; anche i colori e gli oggetti sembrava che fossero tornati ad essere come all'inizio, disordinati e raffazzonati, come se si fossero ribellati dall'essere stati abbandonati.
E loro, lui e lei, che fine avevano fatto? Nessuno lo sa con certezza. Alcuni dicono di averli visti distanti ciascuno in allegra compagnia, altri dicono invece che da quando sono partiti si stiano ancora cercando. I più fantasiosi affermano invece che, in segreto, nelle notti illuminate dalla luna piena, tornino al castello: e solo per quella notte, magicamente, il castello torna a risplendere armonioso, come quando lo lasciarono."

Adesso che ho finito di scrivere la fiaba, che come tutte le fiabe è appunto mezzo sogno e mezza realtà, mi resta solo l'imbarazzo del finale che nessuno sa con certezza... O magari posso lasciare le virgolette aperte perchè ciascuno possa scrivere quello che più gli aggrada:

".....


Questa non vuole essere solo una lettera per te, anche se poi te la darò assieme a tutte le altre, ma anche un tentativo di capire e riordinare le idee, ricominciando da capo, da quando è iniziato tutto.
Forse potrei provare a fare un riassunto perchè, tutto sommato, i miei sentimenti, le mie emozioni di adesso sono la somma di tutto; amore e desiderio, rabbia e disillusione, tanti piccoli o grandi mattoni di un castello che non ha nessuna intenzione di cadere ed anzi più passa il tempo e più sembra saldamente piantato.
Solo che non fa più parte della realtà ma vive nel mondo delle fiabe; e come tutte le fiabe anche questa è mezzo sogno e mezza realtà e lascia col fiato sospeso perchè non si sa come potrà andare a finire.
Ecco, allora potrei raccontarla e lasciare a chi legge la possibilità di scegliere il finale che più gli aggrada.

"C'era una volta un marchese, una persona non tanto importante ma abbastanza in vista da poterlo apparire, che viveva in un grande castello che non amava particolarmente: di questo castello apprezzava solo una stanza, dove spesso si chiudeva a pensare ed a sognare. Già altre volte qualche compiacente compagna aveva cercato di rendere accogliente ora la sala da ballo, ora la biblioteca e la sala da pranzo oppure qualcuna delle tante stanze da letto, ma mai era riuscita ad indovinarne i gusti. Così tutte le volte che lui si guardava intorno scuoteva sconsolato la testa nel vedere un candelabro a nove bracci nuovo e lucente od un tavolinetto finemente intarsiato ma così poco aggraziati; e pure i tappeti pregiati venuti dall'oriente avevano colori brillanti che lo disturbavano.
E così le malcapitate donzelle venivano ben presto dimenticate e se ne andavano lasciando come ricordo un sacco di cose che venivano regolarmente accantonate, mentre il marchese continuava a vivere sempre più solo e sempre più chiuso nella sua stanza, convinto che ormai non ci fosse più nulla da fare per rendere più gradevole il resto del castello.
Ed ecco che un giorno, durante una tormenta, bussò al grande portone del castello una giovane fanciulla, male in arnese, lontana da casa e senza un tetto sotto cui ripararsi dalla pioggia scrosciante; era timorosa e non avrebbe voluto entrare in quel castello così imponente e tetro, ma in quel momento fame e stanchezza ebbero il sopravvento ed accettò l'ospitalità offertale. D'altro canto il marchese non ci aveva fatto più di tanto caso , e le aveva assegnato una delle stanze da letto dove c'era di tutto, quasi fosse un bazar.
Il mattino dopo il marchese si presentò portandole dei panni puliti ed una brocca di acqua tiepida per lavarsi, e, quando poco dopo tornò per accompagnarla nella sala da pranzo per rifocillarsi, non credette ai suoi occhi: la stanza da letto aveva cambiato aspetto ed ora gli oggetti ed i colori parevano fatti l'uno per l'altro e regnava un'armonia perfetta, come quella che traspariva dagli occhi e dai gesti di lei che la sera prima lui così poco aveva notato. E lei, che all'inizio aveva pensato che sarebbe corsa via non appena avesse fatto giorno, pensò che tutto sommato aveva gradito mettere ordine in quella grande confusione e decise quindi di restare ancora un po'.



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